23 gennaio 2007

Negli occhi di uno sconosciuto...

Credo l' anima sia trasparente e per vederne l'essenza deve avere una percezione sensibile nella propria...
Ma ciò nonostante...mi sorprende come agli occhi di uno sconosciuto i colori siano diversi e le sfumature più intense...
Forse è vero che negli occhi di uno sconosciuto si vede specchiare la propria anima, o no?
Lo sguardo sconosciuto che scruta i dettagli in parole dette, intese e apparentemente insignificanti e in gesti abituari, nervosi, concentrati...
Lo sguardo che vede e analizza ma alla fine se rimane affascinato e nella sete di saperne di più si tuffa nelle acque sconosciute in cerca di altre, nuove, più interessanti informazioni.
Cosi mi ritrovo..davanti a quello sguardo nuovo ma familiare in una strana maniera perchè già ho guardato qualcuno con tale intensità e curiosa ispezione.
L' interessata espressione che carpisce e fa tesoro di ogni informazione ricevuta e lentamente matura la sua analisi senza tralasciare nulla...l'opione sboccia e lo sguardo stupito diventa amichevole o ammiccante...bramoso di altri particolari...
La conferma di aver finalmente cessato un' eterna ricerca e il placcare dell'animo di fronte alla realizzazione delle proprie aspettative...
Rare le circostanze in cui accade ma preziose..e ancora più inestimabile o prodigioso il momento in cui ci si specchia nello sguardo e si vede con occhi nuovi se stessi in una luce pura, nitida la propria essenza e si valorizzano la propria bellezza, unicità e infinita attrazione per se stessi...
Si! Trovo meravigliosa l' attrazione per se stessi..l' amore verso l' io..il riconoscere le proprie qualità e l' infatuarsi della propria esuberanza...anche se per farlo si usa lo sguardo di uno sconosciuto...che forse ti vede tutta e completa come se le proprie vesti fossero strappate con morbosa furia e l' ignuda anima rivelata nella sua completezza davanti a occhi avidi di desiderio di assaggiare il tutto e gustarlo fino all'ultimo boccone...
Sensazione sublime, o no?
Lo sguardo..perche le parole sono fallaci, illusorie, menzioniere e mirano a raggiungere il suo scopo...facile il dire senza sentire e l'esprimere con il verbo la falasità...ma lo sguardo non inganna e parla all'anima...in modo diretto e silenzioso ma inequivocabile...
parole sono fiumi di fango che trascinano detriti raccolti lungo il suo scorrere e l'acqua torbita dal troppo agitarsi in cerca di fuga dal suo sporco..lo suardo è limpido e come una sorgente d'acqua cristallina scorga fresco e terso con lo scopo di portare la vita alla natura!
Cosi mi vedo riflessa negli occhi di uno sconosciuto e nella speranza il suo cercare non finisca mai...

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Considerazioni su una lettera
fatte, a mente più serena, dal suo autore

Quando:
in un momento di angoscia profonda e per me nuova innescata dalle mie frustrazioni presenti (coscienza dell’incapacità non solo di raggiungere certi fini, ma di porseli e intravederli, consapevolezza e timore che questa incapacità e mancanza di risorse, via via crescente con il passare del tempo, possa danneggiare ulteriormente me e coloro a cui tengo).Una bomba esplosa dopo essersi unita - innesco, carica e detonatore - al tentativo di assumermi parte delll’altrui dolore.

Come:
con la disperazione. Una confessione rispecchia un’alienazione momentanea, acuta, che non avevo mai trasmesso a uno scritto e non ho saputo controllare.

Perché:
per tentare di placare la mia bufera spirituale scrivendo; in questo, forse, seguendo un esempio vicino. Ho fatto, per così dire, un mio “blog” cartaceo casereccio. Ho deciso di spedirla e non metterla invece sul blog sia per l’urgenza delle sensazioni che tenevo dentro, sia per i riferimenti personali.

Cosa volevo ottenere:
fugare la mia angoscia, insieme cercando di contribuire a ridurre quella altrui, nella convinzione che in essa io avessi un ruolo. In effetti nella lettera c’è l’illustrazione di una pena, con delle soluzioni per alleviarla. Solo che la responsabilità delle soluzioni viene di fatto addossata ad altri. Un errore grave in senso assoluto, e anche in senso specifico, considerata la situazione.

Cosa ho ottenuto, di certo:
niente, anzi il contrario di ciò che mi proponevo. La mia frustrazione personale non è affatto diminuita spedendo la lettera: rileggendola mi sono reso conto che in quello che dicevo confermavo i timori latenti. Mentre la mia angoscia per altri è calata quando ho letto una pagina di blog più fiduciosa e ne ho sentito una voce più serena, molto semplicemente.

Cosa ho causato, forse:
di avere, con frasi intempestive, colpito ancor più una sensibilità e avere inferto uno scossone alla mia credibilità.

Cosa ho dimostrato:
che per cercare di aiutare se stessi non bisogna far carico del proprio peso ad altri che – si pensa – siano coinvolti, che hanno addirittura difficoltà maggiori; che non sono capace di esporre i miei sentimenti e, quando sono alterato, non devo scrivere perché ottengo l’effetto opposto a quello desiderato. In effetti ho voluto “fare il verso” a qualcuno, solo che quel qualcuno riesce ad esporre le sue sensazioni, il suo profondo, in modo diretto ed efficace, io sono involuto, dispersivo e anche più emotivo.

Cosa ho imparato:
che quei comportamenti che vengono chiamati di “labilità mentale” hanno delle giustificazioni profonde e anche una loro “razionalità”; che come li ha una altro/a li posso avere anch’io (me ne ritenevo presuntuosamente immune), ma soprattutto c’è chi riesce a governare meglio questa "instabilità", chi peggio (io). In somma - ahimè - che non sono o in grado di affrontare certe situazioni.

Cosa temo:
che qualcuno abbia perso fiducia – se l’aveva - nei miei confronti; che (come detto, in forma stravolta, nella lettera), che io abbia in effetti perso l’occasione di aiutare, di comprendere, di rendermi utile.

Cosa terrei:
le espressioni” voler bene”, “amore”, “affetto” intese nel modo più puro, senza accessori e perturbazioni.

Cosa aggiungerei:
le parole “rispetto”, “stima” e “ammirazione”.

Cosa chiedo:
di non farla leggere a nessuno; di distruggerla possibilmente, ma se si vuole tenere servirà da esempio “negativo” di come si descrivono i sentimenti e si affrontano le paure.

Cosa mi aspetto:
di continuare come se non fosse esistita, cioè di gioire delle gioie e di soffrire dei dolori, di vedere che si sta meglio e seguire, trepidante e partecipe,una guarigione.

Cosa spero:
di continuare ad essere nella difficoltà – se lo ero – un sostegno (sia da vicino che da lontano), e nella serenità o “normalità” (presto raggiunte) una persona con molti interessi in comune con cui passare momenti interessanti.

sunshine after the rain ha detto...

mi spiace..ma vorrei veramente l'argomento fosse chiuso e dimenticato..come ho gia detto..come se non fosse mai sucesso anche se capisco le tue ragioni.
Meglio però far finta non sia mai accaduto e ignorare.
Grazie.

Chi sei tu?